venerdì 18 gennaio 2013

La missione dei nunzi non deve scadere nella routine. Il cardinale Bertone alla Pontificia Accademia Ecclesiastica (O.R.)

Il cardinale Bertone alla Pontificia Accademia Ecclesiastica

La missione dei nunzi non deve scadere nella routine


«Come ogni altra forma di ministero sacerdotale», anche quello svolto dai diplomatici della Santa Sede comporta la possibilità di una «sorta di assuefazione, di adeguamento superficiale alla routine di ogni giorno, di accomodamento a vuote formalità», che con il tempo possono finire col «rendere meno attenti alla dimensione soprannaturale del lavoro quotidiano». È stato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone a mettere in guardia i futuri rappresentanti pontifici dai “rischi” della loro “peculiare” missione. Occasione è stato l'incontro con gli allievi della Pontificia Accademia Ecclesiastica, dove si è recato nel pomeriggio di giovedì 17 gennaio, per celebrare i vespri di sant'Antonio abate, patrono della scuola diplomatica di piazza della Minerva.

«Questo annuale ritrovo -- ha detto il porporato salutando l'arcivescovo presidente Beniamino Stella e tutti i presenti, tra i quali alcuni ex alunni -- ci porta a fare grata memoria anche di tutti coloro che non possono essere presenti, ma sono uniti a noi spiritualmente, in particolare i nunzi e i loro collaboratori: a loro vogliamo assicurare il nostro ricordo nel Signore». Un ricordo esteso anche ai defunti di quest'ultimo anno, con uno speciale pensiero per monsignor Ambrose Madtha, nunzio in Costa d'Avorio, morto in un tragico incidente automobilistico.
Riflettendo sul ruolo della diplomazia vaticana, il cardinale Bertone ne ha inquadrato i contenuti nel contesto dell'Anno della fede. «Con questa iniziativa -- ha spiegato -- il Santo Padre ha chiamato tutta la Chiesa a una sorta di pellegrinaggio verso l'essenziale, che intende riportare tutti al cuore dell'esperienza cristiana: l'incontro vivificante con Cristo». 
In particolare per chi si trova «al servizio diretto del Successore di Pietro, nei dicasteri e uffici della curia romana o nelle rappresentanze pontificie», l'Anno della fede può offrire l'opportunità di «approfondire il nostro radicamento nel Signore e riscoprire così il senso più genuino del nostro servizio». Perché -- ha aggiunto -- «anche noi abbiamo sempre bisogno di ritornare all'essenziale». 
E il Papa nella lettera apostolica Porta fidei, sottolinea le due dimensioni fondamentali della fede: «l'atto con cui ci affidiamo totalmente a Dio e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. 
Entrambe queste dimensioni -- ha commentato il segretario di Stato -- indubbiamente già ci appartengono, eppure la celebrazione di questo Anno può rappresentare anche per noi la provvida occasione di coltivarle in maniera ancor più consapevole, intensificando la preghiera, la riflessione, l'approfondimento dei contenuti della fede e permettendo così a questo seme di grazia di portare frutto in noi».
Del resto, come aveva affermato lo stesso Pontefice nel recente discorso al Corpo diplomatico, «esiste un'intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra», visto che «dove Dio è glorificato, lo è anche l'uomo ed è allora possibile costruire la pace». Parole riferite allo scenario internazionale, ma che per il porporato «valgono anche per le nostre comunità e per la nostra vita personale. Se riusciremo a dare gloria a Dio, a vivere fino in fondo il primato della fede, allora saremo anche veri costruttori di pace, nei nostri ambienti di vita e di ministero, così come nelle relazioni ecclesiali e in quelle internazionali».
E da questo punto di vista, il celebrante ha esortato a «non dimenticare che per un pastore l'assidua cura per la propria vita di fede ha sempre una dimensione apostolica: i successori degli apostoli, infatti, coadiuvati dai presbiteri, hanno il principale compito di custodire il depositum fidei, compito che tuttavia non si può assolvere come un incarico, per così dire, esteriore: può essere custode del depositum solo chi da esso si lascia permanentemente custodire».
Il riferimento è sempre a Benedetto XVI, che nel tracciare un identikit del vescovo all'omelia per la solennità dell'Epifania, aveva spiegato come questi debba «soprattutto essere un uomo, il cui interesse è rivolto verso Dio», perché solo così il pastore «si interessa veramente anche degli uomini». Anzi, il ragionamento del Pontefice può essere anche ribaltato: «un vescovo dev'essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. 
Dev'essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l'inquietudine verso Dio è diventata un'inquietudine per la sua creatura, l'uomo».
Rivolgendosi infine direttamente agli alunni, il cardinale Bertone ha evidenziato che la formazione alla Pontificia Accademia Ecclesiastica «permette di scoprire in maniera particolare la grandezza dell'essere a diretto contatto con l'universalità della Chiesa, con la sua apostolicità e con il ruolo che in essa svolge, per volontà del suo divino fondatore, il successore di Pietro», con la consapevolezza che «in questi anni di formazione, sono molti e pressanti gli impegni e gli adempimenti che vi vengono richiesti». Tuttavia il segretario di Stato ha esortato gli allievi a non perdere mai di vista l'unum necessarium: «coltivare la vostra fede è il presupposto indispensabile per la vostra vita sacerdotale e anche per la preparazione al futuro servizio alla Santa Sede». Perché «maggiore sarà la vostra identificazione a Cristo, e maggiori saranno la vostra passione per la vita della Chiesa, il vostro amore per gli uomini di ogni popolo e nazione, la vostra capacità di costruire relazioni fraterne, legami di collaborazione e di pace, per i quali la vita comunitaria attuale rappresenta un'ottima propedeutica». Tutto ciò -- è stata la conclusione dell'omelia -- «vi consentirà di affrontare con più coraggio le difficoltà, talora non lievi, che potrà richiedere il vostro ministero, e di accettare con realismo anche quegli aspetti legati all'inevitabile fragilità della natura umana, di cui non manchiamo di fare esperienza».

(©L'Osservatore Romano 18 gennaio 2013)

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