venerdì 11 gennaio 2013

Sul concetto di «naturale». Interpreto l'istinto ergo sum (Robert Spaemann)


Sul concetto di «naturale»

Interpreto l'istinto ergo sum

di Robert Spaemann

Fini naturali stabilisce un ponte con l'altro mio libro, Grenzen, dedicato interamente alla dimensione etica del mio lavoro. Fini naturali intende mostrare come i processi vitali possano essere intesi soltanto come processi orientati; processi nei quali si realizza un essere-da-verso, ossia una sorta di impulso, che non si lascia ridurre a processi causali. E io ho cercato di far vedere come tutto questo fosse già stato visto da Duns Scoto: laddove si tratta di un orientamento a un fine, là si verifica anche qualcosa come una mancanza di questo fine, ossia un errore della natura. Hamartìas tes physios, peccatum naturae, come dicono Aristotele e Tommaso d'Aquino.
Nel mondo fisico non si danno errori, salvo quelli dei fisici, degli astronomi, le cui previsioni vengono falsificate dall'esperimento. Le stelle non commettono errori. Ma una lepre che nasce con tre gambe è vittima di un errore, sebbene i processi fisici che costituiscono l'infrastruttura dell'inorganico rimangano sempre liberi da errori. La lepre non può realizzare il suo istinto di autoconservazione. Ma come stanno le cose con la leonessa, della quale scrive Philippa Foot, la leonessa che non porta i suoi cuccioli a caccia, impedendo loro di imparare a nutrirsi? La leonessa non comprende il fine del proprio istinto. Oppure, come stanno le cose con uomini o animali che non riescono a seguire la specifica forza d'attrazione che proviene dall'altro sesso? L'assenza di questi istinti potenti o il cambiamento del fine dell'istinto è chiaramente un'anomalia, poiché su questa forza d'attrazione si basa la sopravvivenza della specie. Oppure pensiamo alla pedofilia. Sarebbe da irresponsabili fare di un pedofilo il direttore di un collegio, ossia non discriminarlo in questa sua caratteristica.
Tutti questi esempi mostrano come non tutti i tipi di orientamento istintivo a un fine possano essere considerati «naturali». Gli uomini sono animali dotati di un impulso o di un istinto al pari di ogni altro essere vivente. Ma essi non sono soltanto esseri istintivi. Aristotele scrive che l'agire umano implica due componenti: Òrexis, ossia una brama istintiva, e Lògos, ossia la capacità di assoggettare l'istinto soggettivo al criterio della ragione o di correggerlo. Òrexis rappresenta un motivo prima facie per fare qualcosa. Il lògos decide della qualità etica di questo motivo. La fame è un sufficiente motivo prima facie per mangiare. Può darsi tuttavia che il medico mi abbia proibito di mangiare nelle prossime 24 ore, o che sia tempo di Quaresima. Motivi più che sufficienti per superare il motivo prima facie.
Gli uomini non vengono guidati ciecamente dall'istinto, bensì lo interpretano. Un animale che sia affetto da inappetenza cronica, smette semplicemente di mangiare e alla fine muore. Gli uomini invece sanno che l'accoppiamento serve alla prosecuzione della specie e, in caso di sterilità, vanno dal medico (la ricerca intenzionale di un accoppiamento che non sia fertile costituisce un capitolo a sé, che qui non intendo affrontare). Ciò che vorrei mostrare è che physis, natur, sono sempre la particolare natura di una specie. Le cose, in particolare quelle viventi, non sono semplicemente un to de ti, un qualcosa che è. Sono un qualcosa che è soltanto nella forma di un essere così e così. Per esempio è qualcosa che è un uomo, un animale o una pianta di una determinata specie. La loro natura è quella della loro particolare specie. Anche l'impulso orientato in modo sbagliato ha un tèlos, ma questo non è il tèlos della «natura». Il drogato può riconoscere il carattere distruttivo e quindi innaturale del suo desiderio e sottoporsi a una terapia. È capace di una secundary volition che sospende l'immediata soddisfazione del suo impulso.
Il «naturale» si manifesta anzitutto nell'interpretazione dell'impulso. Il naturale è ciò che corrisponde a un genere. È qui il fondamento del fatto che la negazione della costituzione teleologica del mondo si accompagna sempre a una posizione nominalista. Il nominalismo non conosce alcuna specie naturale, bensì soltanto diversi modi di essere qualcosa. Tutto ciò a cui gli individui aspirano appartiene alla loro natura individuale. Secondo questa concezione, siamo individui contenuti in classi. Ma in base a che cosa ordiniamo un oggetto a una classe? Di solito la risposta suona così: in base a similitudini. Ma un cagnolino nano è assai più simile a un gatto che a un alano. E tuttavia cagnolino e alano stanno insieme. In base a che cosa? In base alla parentela. Ma che significa similitudine? Tutti i tentativi di definirlo sono falliti e non possono che fallire, poiché sono sempre circolari. Cosicché Bertrand Russell poté scrivere che il nominalismo naufraga sulla similitudine. Esso non potrebbe indicare certi gruppi di cose simili attraverso nessun'altra qualità che la loro stessa similitudine. Nel mio saggio sulla similitudine, che si trova nel secondo volume del mio libro Schritte über uns hinaus, ho cercato di approfondire questo aspetto.
Quando lo scrissi, il concetto di simile mi apparve come un concetto fondamentale che, al pari del concetto di essente, non può essere ordinato a nessun altro genere. Ciò, me ne rendo conto ora, fu un errore. Simile indica infatti una sorta di vicinanza, precisamente una vicinanza qualitativa. Il concetto complementare è quello della lontananza. Altre forme di vicinanza sono la vicinanza spaziale, quella quantitativa, ossia vicinanze misurabili. Altre ancora sono quelle temporali e la distanza o quelle matematiche: il cinque è più vicino al sei che al sette. Oppure ancora si pensi a gradi di parentela più o meno stretti, oppure a diversi gradi di vicinanza emotiva, come per esempio l'amicizia.
In effetti qui siamo giunti a un punto finale. Tutto ciò che è, si trova con tutto il resto in un rapporto di vicinanza o di lontananza. Non esiste l'assoluta vicinanza. Assoluta vicinanza sarebbe identità. A sua volta, l'assoluta lontananza, ossia una lontananza infinitamente lontana, sarebbe il non essere. Quando nel salmo si dice che Dio allontana da noi le nostre colpe, qui «lontano» significa infinitamente lontano e infinitamente lontano significa che l'allontanato non esiste più. Non può esistere una stella infinitamente lontana. Se essa ha un luogo, vuol dire che ha una determinata distanza da noi, quindi una determinata vicinanza.
Ciò che mi piacerebbe scrivere, ma sono troppo vecchio per farlo, è un'ontologia sulla base dei fondamentali concetti di vicinanza e lontananza. Una tale teoria avrebbe conseguenze imprevedibili e sorprendenti. In Schritte über uns hinaus ho gettato quest'idea come un messaggio nella bottiglia nel mare della comunità dei comunicanti. Finora non l'ha aperto nessuno.

(©L'Osservatore Romano 11 gennaio 2013)

Riscoperta del pensiero teleologico

Giovedì 10 gennaio si svolge a Roma, presso la Pontificia Università della Santa Croce, una giornata di studio in onore di Robert Spaemann in occasione della pubblicazione del suo libro Fini naturali. Storia & riscoperta del pensiero teleologico (Milano, Ares, Milano, 2012, pagine 464, euro 19,50). Dopo il saluto del rettore dell'università, monsignor Luis Romera, sono in programma gli interventi del cardinale vicario emerito di Roma, Camillo Ruini, di Sergio Belardinelli dell'Università di Bologna, e di Leonardo Allodi, traduttore e curatore del volume. Anticipiamo l'intervento dell'autore.

(©L'Osservatore Romano 11 gennaio 2013)

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